L’ingegnere costruttore dei Murazzi, l’uomo che difese Venezia dal mare
di Alberto Toso Fei
Non esiste veneziano o amante di Venezia che non sappia cosa siano i Murazzi, che non vi sia stato almeno una volta (almeno per prenderci il sole d’estate) o che, nella peggiore delle ipotesi, non ne abbia sentito parlare. Eppure, di questa imponente opera ingegneristica e idraulica settecentesca, che da secoli protegge la laguna dall’erosione e dalla violenza del mare (alla quale dovette inchinarsi una sola volta, durante l’alluvione del 1966), pochissimi conoscono il fautore. Che, come spesso è avvenuto nella storia della città, a Venezia non era nemmeno nato, e in linea teorica nemmeno avrebbe dovuto fare l’ingegnere, nella vita. Bernardino Zendrini infatti vide la luce a Saviore, in Val Camonica (allora parte dei Domini di terra della Serenissima) il 7 aprile 1679, e studiò medicina e matematica all’Università di Padova sotto la guida dell’allora celebre Domenico Guglielmini, del quale fu allievo prediletto. Tornato nella Valle di Saviore esercitò la professione medica fino al 1704, quando decise di trasferirsi in maniera stabile a Venezia e di abbracciare le discipline idrauliche, per le quali aveva iniziato a sviluppare una vera passione, ma non facendosi nemmeno mancare – nel contempo – una collaborazione col “Giornale dei letterati d’Italia” e la pubblicazione di operette di medicina, fisica, matematica, astronomia e meteorologia. In breve tempo divenne uno dei massimi esperti di idraulica del suo tempo, ma ci vollero ancora molti anni prima di arrivare a realizzare la sua opera più ardita: nel 1708, a seguito di una tromba d’aria marina particolarmente intensa, scrisse una dissertazione dove dimostrò di avere intuito le leggi della gravità e le teorie circa l’elettricità e le proprietà dei corpi gassosi. Ma furono i fiumi e le leggi che governano il loro deflusso ciò che alla fine catturò la sua attenzione: nel 1720 risolse il problema dello sbocco del fiume Reno, oggetto di contesa tra i Bolognesi e i Ferraresi, e fu per questo insignito dalla Repubblica di Venezia del titolo di “Matematico sopraintendente alle acque, fiumi, lagune e ponti”. Era solo l’inizio. Nel 1735 si occupò della bonifica di una vasta area attorno a Viareggio, allora dominata dal Lago di Massaciuccoli, ideando una serie di cateratte a porte mobili che – dividendo l’acqua dolce proveniente dal lago da quella salata del mare – riuscirono in parte a risanare la zona. Di questo lavoro rimane memoria in una sua relazione dell’anno successivo: “All’illustrissimo Uficio della foce di Viareggio relazione, che concerne il miglioramento dell’aria e la riforma di quel porto, con una appendice intorno gli effetti delle macchie, per rapporto all’alterazione dell’aria”.